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Pasquale Troiano
Clinica Oculistica Università di Milano – Fondazione Policlinico di Milano IRCCS -
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Come per tutti gli altri aspetti della nostra attività professionale anche per la correzione dei difetti rifrattivi ci dobbiamo frequentemente confrontare con delle novità. Una della più interessanti novità degli ultimi anni è certamente l’ortocheratologia notturna. Per le caratteristiche di questo trattamento rifrattivo contattologico è assolutamente indispensabile uno stretto controllo oftalmologico e la disponibilità di tecnici altamente qualificati.
Attualmente in Italia oftalmologi in grado di prescrivere un trattamento ortocheratologico ed ottici in grado di eseguirlo sono molto pochi; per questo la Società Italiana di Contattologia Medica ha in corso di organizzazione una serie di corsi di certificazione sia per oftalmologi che per ottici.
La capacità delle lenti lacrimali di modificare il profilo corneale è, come spesso avviene nelle scienze, un riscontro casuale.
Negli anni 50, quando sono state introdotte le prime lenti lacrimali corneali (si definiscono corneali le lenti lacrimali con diametro inferiore al diametro della cornea) in PMMA, la filosofia applicativa era basata sull’obiettivo di consentire il maggiore ricambio possibile del film lacrimale postlente e per questo le lenti venivano applicate molto piatte con un raggio base di anche 0.6 mm più piatto del K.
Con questo tipo di applicazione se non si verificava un edema epiteliale ipossico centrale (fig. 1) si verificava un appiattimento dell’apice corneale che faceva riferire ai pazienti un miglioramento del visus naturale dopo la rimozione delle lenti lacrimali.
![]() fig. 1: edema epiteliale ipossico centrale in portatore di lente lacrimale corneale in PMMA
E’ esperienza comune a tutti gli oftalmologi il portatore di lenti lacrimali che riferisce di vedere male con gli occhiali per alcune ore dopo la rimozione delle lenti lacrimali. A confermare la potenzialità delle lenti lacrimali di modificare il profilo corneale contribuisce anche la patologia della cornea nota come warpage corneale che è un rimodellamento anomalo dell’apice corneale indotto da lenti rigide a bassa gaspermeabilità che può ricordare il cheratocono.
Partendo da queste osservazioni per tutti gli anni 60 sono stati fatti numerosi tentativi di rimodellamento corneale volontario con risultati modesti (circa 1 diottria di miopia) e notevoli complicanze rappresentate soprattutto dalla insorgenza di astigmatismo a volte con caratteristiche di irregolarità proprio perché le lenti erano applicate troppo piatte, si muovevano troppo e si decentravano facilmente. Alla fine degli anni 60 nasceva la International Society of Orthokeratology che nel 1972 definisce l’ortocheratologia come “tecnica non chirurgica con cui è possibile ridurre, variare o eliminare un difetto rifrattivo attraverso l’applicazione programmata di lenti a contatto”. Rispetto alla definizione originale dell’ISO è opportuno introdurre subito il concetto che la modificazione rifrattiva ottenibile con queste tecniche è temporanea e con la sospensione dell’uso delle lenti si ritorna allo stato rifrattivo precedente al trattamento. Pertanto la definizione dell’ISO potrebbe essere molto migliorata così: “tecnica non chirurgica con cui è possibile ridurre, variare o eliminare TEMPORANEAMENTE un difetto rifrattivo attraverso l’applicazione programmata di lenti a contatto”. Nello stesso periodo viene proposta per la prima volta una lente a “geometria inversa” (fig. 2) che diverrà la chiave di volta della moderna ortocheratologia. ![]() fig. 2: lente a geometria inversa
A differenza delle lenti tradizionali dove le curve periferiche della lente sono più piatte della curva base, in queste lenti le curve periferiche sono più curve della curva base, ecco perché questa geometria è stata definita “inversa”.
Le prime lenti a geometria inversa erano tricurve e riuscivano a correggere sino a circa 3 diottrie di miopia e con questo tipo di lenti siamo giunti alle soglie del duemila. ![]() fig. 3: lente tetracurva a geometria inversa
L’ortocheratologia può essere attuata portando le lenti durante il giorno o durante la notte.
La ortocheratologia diurna è la storia della ortocheratologia, un tipo di trattamento a cui si era costretti dalla mancanza di materiali sufficientemente permeabili ai gas; poteva comunque avere il pregio di ridurre il tempo di uso della lente sull’occhio proprio perché il paziente poteva continuare a vedere bene senza correzione anche dopo aver rimosso la lente; attualmente può, comunque, trovare una sua collocazione nei casi di controindicazione assoluta all’uso notturno. Attualmente l’ortocheratologia è quasi esclusivamente notturna. Grazie a materiali ad elevatissima permeabilità che consentono un uso notturno sicuro, al contributo della compressione palpebrale che potenzia l’effetto rimodellante della lente, alla maggiore comodità di una lente che lascia libero il paziente dalla necessità di correzione durante le ore di veglia. Il comfort con queste lenti è notevole in quanto sono disegnate per non muoversi e molti soggetti che non riescono a portare lenti a contatto tradizionali per difficoltà di adattamento, portano invece benissimo le lenti per ortocheratologia notturna. Le lenti rigide gaspermeabili approvate dall’FDA statunitense per l’uso notturno sono numerose e tutte sono idonee alla ortocheratologia notturna, tra questa ricordiamo le lenti Boston XO. Vi sono anche lenti che hanno ottenuto una specifica approvazione FDA per l’ortocheratologia notturna (tab. 1)
E’ un dato acquisito nella letteratura scientifica il fatto che l’uso giornaliero di lenti a contatto rigide gaspermeabili rallenti l’evoluzione della miopia; il meccanismo con cui questo accade è ancora oggetto di discussione ma un ruolo è anche attribuito all’effetto ortocheratologico involontario di queste lenti. Infatti, cominciano ad essere presenti in letteratura case report di anisomiopie che dopo tre anni di ortocheratologia notturna nel solo occhio più miope riportano un netto incremento della lunghezza assiale nell’occhio meno miope non trattato rispetto a quello più miope in trattamento ortocheratologico.
Area di appoggio paracentrale
![]() Come si può facilmente intuire osservando la fig. 4, con l’ampia area di appoggio paracentrale, una ulteriore applicazione dell’ortocheratologia è il trattamento degli stadi iniziali del cheratocono dove la lente per ortocheratologia potrebbe svolgere un ruolo di contenimento della evoluzione dell’ectasia con un meccanismo sovrapponibile a quello degli anelli intrastromali.
fig. 4: tipico aspetto in fluoresceina di una lente CRT
Indagini pretrattamento
E’ ovvio che i pazienti da indirizzare ad un trattamento ortocheratologico devono essere perfettamente studiati sul piano oculare generale con particolare riferimento alle condizioni della superficie oculare che non deve presentare controindicazioni di sorta all’uso di lenti a contatto; per questo tipo di trattamento è assolutamente consigliabile un esame della rifrazione in cicloplegia ed un esame completo della motilità oculare per evitare di cadere in trappole rifrattive che si complicherebbero con l’introduzione dell’ortocheratologia. Indispensabile la topografia corneale o ancora meglio una valutazione complessiva della struttura corneale soprattutto dopo la recente dimostrazione del fatto che l’ortocheratologia notturna determina un appiattimento anche del raggio di curvatura posteriore della cornea centrale e medioperiferica. Lo studio topografico della cornea è indispensabile sia per l’acquisizione dei dati indispensabili alla realizzazione della lente sia per definire lo stato del profilo corneale soprattutto in quei pazienti già utilizzatori di lenti a contatto; così come per l’accesso alla chirurgia rifrattiva nei pazienti portatori di lenti a contatto è opportuno osservare l’evoluzione della mappa corneale dopo un adeguata sospensione delle lenti, la stessa cosa è necessaria per l’accesso alle tecniche non chirurgiche di correzione dei vizi di rifrazione. ![]() Sempre utile nei soggetti che utilizzano lenti a contatto è lo studio dell’endotelio corneale possibilmente in microscopia confocale. Infatti, anche se in letteratura non si trovano lavori che dimostrino l’influenza dell’ortocheratologia sulla morfologia e sulla densità della cellule endoteliali, è invece ben dimostrato che l’uso giornaliero delle lenti a contatto può determinare nel tempo polimegatismo e polimorfismo.
Un altro esame indispensabile è la pupillometria poiché la zona di trattamento delle lenti per ortocheratologia è di circa 6 mm e, anche se è vero che questa procedura a differenza di quelle chirurgiche è reversibile, è opportuno selezionare accuratamente i pazienti in base a questo parametro se si vogliono evitare delusioni. Tutto deve confluire in un consenso informato che, partendo da quello generale per i portatori di lenti a contatto, pubblicato sul volume Contattologia Medica (SOI) e sul sito della Società Italiana di Contattologia Medica (www.contattologiamedica.it), raccolga le informazioni specifiche per il trattamento ortocheratologico. La pachimetria può essere un esame aggiuntivo utile (tab. 2). Criteri di selezione del paziente
![]() I criteri essenziali per la selezione del paziente sono riportati in tabella 3, bisogna sempre ricordare che si tratta di soggetti che dovranno usare le lenti durante il sonno e che questo modifica la composizione delle lacrime. Infatti, sappiamo che durante la notte l’ascorbato, l’albumina, la lattico deidrogenasi e le IgA seriche aumentano notevolmente e che la presenza di una lente lacrimale determina un ulteriore significativo aumento di questi indicatori di stress ipossico.
Per l’inevitabile stress ipossico prodotto dall’uso notturno delle lenti lacrimali il trattamento ortocheratologico non è consigliato ai soggetti con problemi di ossigenazione periferica come i diabetici, gli anemici ed i fumatori. Siccome le lenti per ortocheratologia notturna non sono fatte per muoversi sulla superficie oculare, sono spesso molto meglio tollerate delle lenti ad uso giornaliero sia da quei soggetti che non hanno mai usato lenti a contatto per l’incapacità di adattarsi alla loro presenza, sia in quei soggetti che hanno usato troppo le lenti lacrimali ed hanno sviluppato scarsa tolleranza alle lenti. Controllo del paziente in trattamento
Dopo la 1 notte con le lenti per ortocheratologia il paziente si presenta alla visita entro un’ora dalla rimozione delle lenti al risveglio: si procede ad un esame oculare generale con particolare attenzione alla rifrazione ed alla topografia. Quest’ultima ci consente di essere sicuri che il trattamento non crei isole centrali da decentramento; in tal caso è necessario sospendere il trattamento per circa 7 giorni per poi rivalutare dall’inizio il paziente. Allo stesso modo, sarà necessario sospendere il trattamento se si riscontra un eccessiva colorabilità centrale o edema corneale centrale. Il successivo controllo sarà effettuato dopo 1 settimana. Se non ci sono problemi, dopo 3-4 settimane di uso notturno delle lenti per ortocheratologia, dovrebbe essere ottenuto l’effetto correttivo desiderato, in questo periodo i controlli potranno essere programmati più o meno frequentemente in relazione alle caratteristiche del paziente ed all’entità del difetto da correggere. Il programma di controllo nel primo anno dovrà comprendere almeno la seguente periodicità: 1 mese, 3 mesi, 6 mesi, 12 mesi. ![]() Durante tutto il periodo di controllo, particolarmente importante è lo studio dell’epitelio corneale che quando si presenta con colorabilità tenue e distribuita (fig. 5) non rappresenta un problema in quanto questo tipo di colorabilità scompare entro il primo mese di trattamento.
fig. 5: tenue colorabilità epiteliale
![]() fig. 6: colorabilità da decentramento della lente
![]() fig. 7: colorabilità a stampo centrale
Perdita dell’effetto correttivo
La perdita improvvisa dell’effetto correttivo (nel senso che al risveglio si noterà immediatamente un peggioramento della vista già prima di rimuovere le lenti e ancor di più dopo la loro rimozione) si può verificare se le lenti vengono scambiate e la differenza tra i due occhi è significativa, se durante la notte il paziente ha assunto un posizionamento che ha determinato una compressione impropria sulla palpebra, se il paziente interrompe il trattamento nei primi tre mesi. La perdita di efficacia risulterà invece più graduale (nel senso che si noterà un lento e progressivo peggioramento della vista senza lenti) se le lenti vengono scambiate ma la differenza tra i due occhi è modesta, se si verifica una reale progressione del difetto rifrattivo come spesso si verifica in soggetti molto giovani (in questi casi è utile vedere il paziente al mattino prima che rimuova le lenti ed eseguire una sovrarifrazione), se la lente è divenuta più stretta (è raro, ma può succedere che col tempo il raggio della curva base posteriore della lente divenga più stretto), se si è determinato un progressivo decentramento della lente, se si formano depositi nella porzione centrale della lente, di difficile rimozione, in grado di provocare colorabilità epiteliale e comparsa di alterazioni topografiche. In questo caso, il paziente oltre a lamentare un riduzione d’efficacia del trattamento denuncia la comparsa di scarsa tolleranza alla presenza della lente; per la sua comparsa dopo circa sei mesi di trattamento questo quadro è stato denominato sindrome dei sei mesi.
Complicanze La complicanza più temibile nei portatori di lenti a contatto durante il sonno è l’ipossia. L’ipossia con le conseguenti alterazioni della barriera epiteliale corneale apre la strada alle infezioni corneali.
In letteratura sono riportati alcuni casi di gravi ulcere corneali settiche in corso di trattamento ortocheratologico che non riportano però le caratteristiche della lente e della manutenzione usata e soprattutto non segnalano i criteri con cui i pazienti erano stati selezionati per il trattamento ortocheratologico. In mancanza di questi dati è molto difficile esprimere una valutazione sul reale rischio infettivo rappresentato dal trattamento ortocheratologico.
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